Teatro del Lavoro, Sfr/Atto Secondo
Teatro del Lavoro No Sfr/Atto Secondo
Il teatro della resistenza
Resistenza
Buongiorno a voi che state sostenendo la causa del Teatro del Lavoro, un luogo che suo malgrado, è divenuto simbolo di resistenza di un certo modo di intendere il radicamento culturale.
Uso con umiltà e rispetto questo termine nobile per noi “RESISTENZA”, ma certamente alcune affinità le possiamo cogliere. In questi anni di lavoro abbiamo visto l’affievolirsi sempre più, in Italia soprattutto, del concetto di sostegno dei luoghi d’arte, e perseverare, come stanno facendo in tanti, acquisisce secondo noi, il significato di resistere.
L’accezione a cui stiamo dando luogo contiene, naturalmente, anche una drammaticità di un settore “mentale” dell’arte che si sta lentamente sublimando in rinunce, adattamenti al ribasso, sconforti.
Resistere significa quindi adoperarsi per mantenere viva la linfa vitale composta dagli artisti nella società, opponendoci a questo contesto disarmante, lottando nelle trincee che di volta in volta si possono scavare con il piccone delle scelte radicali e la pala della pazienza nel duro terreno delle incomprensioni, delle incompetenze, delle distrazioni, delle scelte “leggiadre”. Compito arduo a cui non ci sottraiamo, e in cui stiamo ricevendo un grande sostegno, il vostro. Stiamo resistendo con e grazie a voi.
Il punto della situazione
Dopo circa un mese di raccolta delle donazioni, si è raggiunta una cifra ragguardevole, circa 5.500 €. Questa ci è servita a difenderci dall’intimazione di sfratto, coprendo una parte della cifra richiesta dalla proprietà e a lei versata. Non ancora nella sua totalità perché ne manca la definizione certa per il restante che dovrebbe scaturire da un accordo, come vi dicevo nella precedente comunicazione. Notiamo piacevolmente che il processo di condivisione e donazioni non si è fermato e siamo fiduciosi che continui fino alla fine con l’obiettivo di dare stabilità a questa struttura per quest’anno e il prossimo che, pare, sarà altrettanto complicato per le sale teatrali.
Vi linko la sentenza del giudice promulgata dopo l’udienza del 6 agosto 2020. Si noterano le molte comprensioni e condivisioni rispetto alla nostra opposizione allo sfratto, sentenza che porterebbe ad un certo ottimismo. Naturalmente ciò deve confrontarsi con la volontà della proprietà ad accettare un accordo di cui ci siamo fatti promotori per una riduzione della locazione per quest’anno di pandemia e per il prossimo così ancora incerto.
Nel link troverete anche il memoriale che la nostra avvocata ha presentato in sede di udienza il 6 agosto 2020 con le argomentazioni, appunto, che sono state praticamente accettate in toto.
Il Futuro
È chiaro che nel prossimo futuro non sarà sufficiente, sebbene importante e gratificante, l’appoggio volontario delle persone che credono nel teatro del lavoro. Ci sarà bisogno da parte dei soggetti protagonisti istituzionali e detentori delle scelte politiche, di uno sforzo di comprensione che produca un sistema organizzativo e interpretativo del mondo culturale e dell’arte rinnovato, sia a livello nazionale, regionale e locale. La ricchezza di questi luoghi, come di tanti altri in Italia, dovrebbe essere misurata non con numeri del botteghino, della fatturazione o con termini puramente economici, ma con il valore della crescita che produce in seno alla società. Qualcuno potrebbe dire che ci sarebbe bisogno di una fase “illuminista”, termine divenuto quasi arcaico e per molti forse obsoleto, ma che contiene qualcosa che in questi ultimi anni è mancato: l’afflato comprensivo della politica/potere verso l’arte, per dove nasce e perché è importante salvaguardarla.
Ridurre tutto l’intervento culturale nel sostegno del vertice piramidale che questo sistema ha costruito è, secondo noi, un errore, è ingiusto e oltretutto improduttivo, e lo si è visto con gli interventi frettolosi di questi ultimi mesi che non sempre sono rispondenti ad un quadro reale.
Il futuro è quindi composto dalla resistenza e dall’ostinazione a percorrere percorsi diversi e non troppo mediati che ci portano si, su strade inesplorate e all’assenza di comprensione delle istituzioni, ma che sono l’unico modo per far sopravvivere la realtà dell’arte vera e ridare un suo senso di appartenenza in questa società.
Stiamo uniti, ognuno nel suo piccolo difenda la sua arte e resista.
Grazie
Damiano Privitera
Il teatro della resistenza
Resistenza
Buongiorno a voi che state sostenendo la causa del Teatro del Lavoro, un luogo che suo malgrado, è divenuto simbolo di resistenza di un certo modo di intendere il radicamento culturale.
Uso con umiltà e rispetto questo termine nobile per noi “RESISTENZA”, ma certamente alcune affinità le possiamo cogliere. In questi anni di lavoro abbiamo visto l’affievolirsi sempre più, in Italia soprattutto, del concetto di sostegno dei luoghi d’arte, e perseverare, come stanno facendo in tanti, acquisisce secondo noi, il significato di resistere.
L’accezione a cui stiamo dando luogo contiene, naturalmente, anche una drammaticità di un settore “mentale” dell’arte che si sta lentamente sublimando in rinunce, adattamenti al ribasso, sconforti.
Resistere significa quindi adoperarsi per mantenere viva la linfa vitale composta dagli artisti nella società, opponendoci a questo contesto disarmante, lottando nelle trincee che di volta in volta si possono scavare con il piccone delle scelte radicali e la pala della pazienza nel duro terreno delle incomprensioni, delle incompetenze, delle distrazioni, delle scelte “leggiadre”. Compito arduo a cui non ci sottraiamo, e in cui stiamo ricevendo un grande sostegno, il vostro. Stiamo resistendo con e grazie a voi.
Il punto della situazione
Dopo circa un mese di raccolta delle donazioni, si è raggiunta una cifra ragguardevole, circa 5.500 €. Questa ci è servita a difenderci dall’intimazione di sfratto, coprendo una parte della cifra richiesta dalla proprietà e a lei versata. Non ancora nella sua totalità perché ne manca la definizione certa per il restante che dovrebbe scaturire da un accordo, come vi dicevo nella precedente comunicazione. Notiamo piacevolmente che il processo di condivisione e donazioni non si è fermato e siamo fiduciosi che continui fino alla fine con l’obiettivo di dare stabilità a questa struttura per quest’anno e il prossimo che, pare, sarà altrettanto complicato per le sale teatrali.
Vi linko la sentenza del giudice promulgata dopo l’udienza del 6 agosto 2020. Si noterano le molte comprensioni e condivisioni rispetto alla nostra opposizione allo sfratto, sentenza che porterebbe ad un certo ottimismo. Naturalmente ciò deve confrontarsi con la volontà della proprietà ad accettare un accordo di cui ci siamo fatti promotori per una riduzione della locazione per quest’anno di pandemia e per il prossimo così ancora incerto.
Nel link troverete anche il memoriale che la nostra avvocata ha presentato in sede di udienza il 6 agosto 2020 con le argomentazioni, appunto, che sono state praticamente accettate in toto.
Il Futuro
È chiaro che nel prossimo futuro non sarà sufficiente, sebbene importante e gratificante, l’appoggio volontario delle persone che credono nel teatro del lavoro. Ci sarà bisogno da parte dei soggetti protagonisti istituzionali e detentori delle scelte politiche, di uno sforzo di comprensione che produca un sistema organizzativo e interpretativo del mondo culturale e dell’arte rinnovato, sia a livello nazionale, regionale e locale. La ricchezza di questi luoghi, come di tanti altri in Italia, dovrebbe essere misurata non con numeri del botteghino, della fatturazione o con termini puramente economici, ma con il valore della crescita che produce in seno alla società. Qualcuno potrebbe dire che ci sarebbe bisogno di una fase “illuminista”, termine divenuto quasi arcaico e per molti forse obsoleto, ma che contiene qualcosa che in questi ultimi anni è mancato: l’afflato comprensivo della politica/potere verso l’arte, per dove nasce e perché è importante salvaguardarla.
Ridurre tutto l’intervento culturale nel sostegno del vertice piramidale che questo sistema ha costruito è, secondo noi, un errore, è ingiusto e oltretutto improduttivo, e lo si è visto con gli interventi frettolosi di questi ultimi mesi che non sempre sono rispondenti ad un quadro reale.
Il futuro è quindi composto dalla resistenza e dall’ostinazione a percorrere percorsi diversi e non troppo mediati che ci portano si, su strade inesplorate e all’assenza di comprensione delle istituzioni, ma che sono l’unico modo per far sopravvivere la realtà dell’arte vera e ridare un suo senso di appartenenza in questa società.
Stiamo uniti, ognuno nel suo piccolo difenda la sua arte e resista.
Grazie
Damiano Privitera
Teatro del Lavoro, Sfr/Atto Catartico
Cari amici,
innanzitutto va a voi il nostro più sentito ringraziamento per la risposta che avete dato ai nostri “lamenti”;
grazie, grazie, grazie. Ma c’è qualcosa in più che sta nascendo in questa fase così delicata di uno sfratto di un teatro.
C’è la tendenza a pensare, per benevola considerazione verso un luogo di teatro, che in particolare questo sia uno sfratto culturale; onestamente, penso che in ogni contesto di sfratto il suffisso culturale abbia senso nell’esserci.
Quando si mandano fuori casa famiglie, quando si sbarrano le porte di artigiani e lavoratori, quando si sfrattano librerie, quando si sfratta la storia di cinema e locali, è sempre una perdita culturale, un momento in cui la società dovrebbe domandarsi dove sbaglia e come rimediare.
Altresì il momento pandemico prodotto dal virus Covi-19 è sicuramente una condizione epocale che avviene probabilmente solo una o due volte nel corso di un secolo; noi, del cosiddetto terzo settore, ci siamo ritrovati in mezzo a questa situazione con tutte le debolezze pregresse di un sistema gravido di problematiche strutturali e di per sé già traballante.
Non ci ergiamo a categoria privilegiata ma ci mettiamo alla stregua di tutti quelli che in questo momento sono caduti in questa crisi senza una legalità chiara e che dia appigli a cui potersi aggrappare.
In questo senso consideriamo questo momento un po’ come una catarsi dove le persone hanno trovato nella fattispecie di uno sfratto, che suscita ricordi arcaici di pena e paura nel nostro animo, la purezza nell’agire in sostegno e aiuto di qualcun’altro. E per questo voglio dar merito a voi, che avete agito, e avete contribuito con le donazioni per essere pubblico e protagonisti di questo accadimento: per noi in questo passaggio siete diventati la comunità culturale di riferimento, un fatto che ci potrà portare in un complesso di manifestazioni e atti a favorire, con umiltà, l’evoluzione della nostra vita sociale e artistica.
Quindi anche noi vorremmo agire senza parlare (troppo); concretamente in cambio della vostra generosità vorremmo corrispondere con qualcosa di tangibile e pubblico. Ci piacerebbe, se lo vorrete, farvi diventare parte di questa comunità artistica in senso lato del Teatro del Lavoro. Tutti voi avrete idee, passioni, svolgete lavori di ogni genere e ci piacerebbe poter creare nel sito del Teatro uno spazio vostro, quello di voi sostenitori, un luogo dove raccontate chi siete, cosa fate, le vostre aspirazioni, la vostra progettualità, ma soprattutto tenerci in comunicazione per capire quello che si potrebbe fare insieme nel Teatro del Lavoro o fuori dal teatro.
Noi siamo convinti che quell’atto di donare, di cui siete stati protagonisti, sia molto più importante dell’entità della cifra, poichè è il segno dell’empatia che ci può legare e della consapevolezza di essere, come dicevamo, una comunità. Un teatro deve essere necessariamente quello, una comunità universalmente aperta che con determinazione porti alla riflessione e al cambiamento.
Allora, rimanendo sul terreno della concretezza, qualsiasi cosa facciate, mandatemi un vostro scritto di presentazione e una foto, verrà creata una pagina per ognuno di voi nella parte del nostro sito dedicata a voi.
Certamente la strada per toglierci dalle secche è ancora lunga, ma voi ci avente infuso molto ottimismo, e una visione positiva di una risoluzione non è più una chimera.
Un abbraccio sincero a tutti e ancora grazie
Damiano Privitera
innanzitutto va a voi il nostro più sentito ringraziamento per la risposta che avete dato ai nostri “lamenti”;
grazie, grazie, grazie. Ma c’è qualcosa in più che sta nascendo in questa fase così delicata di uno sfratto di un teatro.
C’è la tendenza a pensare, per benevola considerazione verso un luogo di teatro, che in particolare questo sia uno sfratto culturale; onestamente, penso che in ogni contesto di sfratto il suffisso culturale abbia senso nell’esserci.
Quando si mandano fuori casa famiglie, quando si sbarrano le porte di artigiani e lavoratori, quando si sfrattano librerie, quando si sfratta la storia di cinema e locali, è sempre una perdita culturale, un momento in cui la società dovrebbe domandarsi dove sbaglia e come rimediare.
Altresì il momento pandemico prodotto dal virus Covi-19 è sicuramente una condizione epocale che avviene probabilmente solo una o due volte nel corso di un secolo; noi, del cosiddetto terzo settore, ci siamo ritrovati in mezzo a questa situazione con tutte le debolezze pregresse di un sistema gravido di problematiche strutturali e di per sé già traballante.
Non ci ergiamo a categoria privilegiata ma ci mettiamo alla stregua di tutti quelli che in questo momento sono caduti in questa crisi senza una legalità chiara e che dia appigli a cui potersi aggrappare.
In questo senso consideriamo questo momento un po’ come una catarsi dove le persone hanno trovato nella fattispecie di uno sfratto, che suscita ricordi arcaici di pena e paura nel nostro animo, la purezza nell’agire in sostegno e aiuto di qualcun’altro. E per questo voglio dar merito a voi, che avete agito, e avete contribuito con le donazioni per essere pubblico e protagonisti di questo accadimento: per noi in questo passaggio siete diventati la comunità culturale di riferimento, un fatto che ci potrà portare in un complesso di manifestazioni e atti a favorire, con umiltà, l’evoluzione della nostra vita sociale e artistica.
Quindi anche noi vorremmo agire senza parlare (troppo); concretamente in cambio della vostra generosità vorremmo corrispondere con qualcosa di tangibile e pubblico. Ci piacerebbe, se lo vorrete, farvi diventare parte di questa comunità artistica in senso lato del Teatro del Lavoro. Tutti voi avrete idee, passioni, svolgete lavori di ogni genere e ci piacerebbe poter creare nel sito del Teatro uno spazio vostro, quello di voi sostenitori, un luogo dove raccontate chi siete, cosa fate, le vostre aspirazioni, la vostra progettualità, ma soprattutto tenerci in comunicazione per capire quello che si potrebbe fare insieme nel Teatro del Lavoro o fuori dal teatro.
Noi siamo convinti che quell’atto di donare, di cui siete stati protagonisti, sia molto più importante dell’entità della cifra, poichè è il segno dell’empatia che ci può legare e della consapevolezza di essere, come dicevamo, una comunità. Un teatro deve essere necessariamente quello, una comunità universalmente aperta che con determinazione porti alla riflessione e al cambiamento.
Allora, rimanendo sul terreno della concretezza, qualsiasi cosa facciate, mandatemi un vostro scritto di presentazione e una foto, verrà creata una pagina per ognuno di voi nella parte del nostro sito dedicata a voi.
Certamente la strada per toglierci dalle secche è ancora lunga, ma voi ci avente infuso molto ottimismo, e una visione positiva di una risoluzione non è più una chimera.
Un abbraccio sincero a tutti e ancora grazie
Damiano Privitera
Cari amici,
innanzitutto va a voi il nostro più sentito ringraziamento per la risposta che avete dato ai nostri “lamenti”;
grazie, grazie, grazie. Ma c’è qualcosa in più che sta nascendo in questa fase così delicata di uno sfratto di un teatro.
C’è la tendenza a pensare, per benevola considerazione verso un luogo di teatro, che in particolare questo sia uno sfratto culturale; onestamente, penso che in ogni contesto di sfratto il suffisso culturale abbia senso nell’esserci.
Quando si mandano fuori casa famiglie, quando si sbarrano le porte di artigiani e lavoratori, quando si sfrattano librerie, quando si sfratta la storia di cinema e locali, è sempre una perdita culturale, un momento in cui la società dovrebbe domandarsi dove sbaglia e come rimediare.
Altresì il momento pandemico prodotto dal virus Covi-19 è sicuramente una condizione epocale che avviene probabilmente solo una o due volte nel corso di un secolo; noi, del cosiddetto terzo settore, ci siamo ritrovati in mezzo a questa situazione con tutte le debolezze pregresse di un sistema gravido di problematiche strutturali e di per sé già traballante.
Non ci ergiamo a categoria privilegiata ma ci mettiamo alla stregua di tutti quelli che in questo momento sono caduti in questa crisi senza una legalità chiara e che dia appigli a cui potersi aggrappare.
In questo senso consideriamo questo momento un po’ come una catarsi dove le persone hanno trovato nella fattispecie di uno sfratto, che suscita ricordi arcaici di pena e paura nel nostro animo, la purezza nell’agire in sostegno e aiuto di qualcun’altro. E per questo voglio dar merito a voi, che avete agito, e avete contribuito con le donazioni per essere pubblico e protagonisti di questo accadimento: per noi in questo passaggio siete diventati la comunità culturale di riferimento, un fatto che ci potrà portare in un complesso di manifestazioni e atti a favorire, con umiltà, l’evoluzione della nostra vita sociale e artistica.
Quindi anche noi vorremmo agire senza parlare (troppo); concretamente in cambio della vostra generosità vorremmo corrispondere con qualcosa di tangibile e pubblico. Ci piacerebbe, se lo vorrete, farvi diventare parte di questa comunità artistica in senso lato del Teatro del Lavoro. Tutti voi avrete idee, passioni, svolgete lavori di ogni genere e ci piacerebbe poter creare nel sito del Teatro uno spazio vostro, quello di voi sostenitori, un luogo dove raccontate chi siete, cosa fate, le vostre aspirazioni, la vostra progettualità, ma soprattutto tenerci in comunicazione per capire quello che si potrebbe fare insieme nel Teatro del Lavoro o fuori dal teatro.
Noi siamo convinti che quell’atto di donare, di cui siete stati protagonisti, sia molto più importante dell’entità della cifra, poichè è il segno dell’empatia che ci può legare e della consapevolezza di essere, come dicevamo, una comunità. Un teatro deve essere necessariamente quello, una comunità universalmente aperta che con determinazione porti alla riflessione e al cambiamento.
Allora, rimanendo sul terreno della concretezza, qualsiasi cosa facciate, mandatemi un vostro scritto di presentazione e una foto, verrà creata una pagina per ognuno di voi nella parte del nostro sito dedicata a voi.
Certamente la strada per toglierci dalle secche è ancora lunga, ma voi ci avente infuso molto ottimismo, e una visione positiva di una risoluzione non è più una chimera.
Un abbraccio sincero a tutti e ancora grazie
Damiano Privitera
innanzitutto va a voi il nostro più sentito ringraziamento per la risposta che avete dato ai nostri “lamenti”;
grazie, grazie, grazie. Ma c’è qualcosa in più che sta nascendo in questa fase così delicata di uno sfratto di un teatro.
C’è la tendenza a pensare, per benevola considerazione verso un luogo di teatro, che in particolare questo sia uno sfratto culturale; onestamente, penso che in ogni contesto di sfratto il suffisso culturale abbia senso nell’esserci.
Quando si mandano fuori casa famiglie, quando si sbarrano le porte di artigiani e lavoratori, quando si sfrattano librerie, quando si sfratta la storia di cinema e locali, è sempre una perdita culturale, un momento in cui la società dovrebbe domandarsi dove sbaglia e come rimediare.
Altresì il momento pandemico prodotto dal virus Covi-19 è sicuramente una condizione epocale che avviene probabilmente solo una o due volte nel corso di un secolo; noi, del cosiddetto terzo settore, ci siamo ritrovati in mezzo a questa situazione con tutte le debolezze pregresse di un sistema gravido di problematiche strutturali e di per sé già traballante.
Non ci ergiamo a categoria privilegiata ma ci mettiamo alla stregua di tutti quelli che in questo momento sono caduti in questa crisi senza una legalità chiara e che dia appigli a cui potersi aggrappare.
In questo senso consideriamo questo momento un po’ come una catarsi dove le persone hanno trovato nella fattispecie di uno sfratto, che suscita ricordi arcaici di pena e paura nel nostro animo, la purezza nell’agire in sostegno e aiuto di qualcun’altro. E per questo voglio dar merito a voi, che avete agito, e avete contribuito con le donazioni per essere pubblico e protagonisti di questo accadimento: per noi in questo passaggio siete diventati la comunità culturale di riferimento, un fatto che ci potrà portare in un complesso di manifestazioni e atti a favorire, con umiltà, l’evoluzione della nostra vita sociale e artistica.
Quindi anche noi vorremmo agire senza parlare (troppo); concretamente in cambio della vostra generosità vorremmo corrispondere con qualcosa di tangibile e pubblico. Ci piacerebbe, se lo vorrete, farvi diventare parte di questa comunità artistica in senso lato del Teatro del Lavoro. Tutti voi avrete idee, passioni, svolgete lavori di ogni genere e ci piacerebbe poter creare nel sito del Teatro uno spazio vostro, quello di voi sostenitori, un luogo dove raccontate chi siete, cosa fate, le vostre aspirazioni, la vostra progettualità, ma soprattutto tenerci in comunicazione per capire quello che si potrebbe fare insieme nel Teatro del Lavoro o fuori dal teatro.
Noi siamo convinti che quell’atto di donare, di cui siete stati protagonisti, sia molto più importante dell’entità della cifra, poichè è il segno dell’empatia che ci può legare e della consapevolezza di essere, come dicevamo, una comunità. Un teatro deve essere necessariamente quello, una comunità universalmente aperta che con determinazione porti alla riflessione e al cambiamento.
Allora, rimanendo sul terreno della concretezza, qualsiasi cosa facciate, mandatemi un vostro scritto di presentazione e una foto, verrà creata una pagina per ognuno di voi nella parte del nostro sito dedicata a voi.
Certamente la strada per toglierci dalle secche è ancora lunga, ma voi ci avente infuso molto ottimismo, e una visione positiva di una risoluzione non è più una chimera.
Un abbraccio sincero a tutti e ancora grazie
Damiano Privitera