Gek Tessaro
IL CIRCO DELLE NUVOLE
di e con Gek Tessaro
IL CIRCO DELLE NUVOLE
di e con Gek Tessaro
domenica 9 novembre ore 15,30 e ore 17,30
dai tre anni
biglietto 5€
prenotazione on line
repliche scolastiche
Acquaria lunedì 10 e mercoledì 11 novembre ore 10,30
I Bestiolini martedì 11 novembre ore 10,30
Il cuore di Chisciotte martedì 11 novembre ore 14
dai tre anni
biglietto 5€
prenotazione on line
repliche scolastiche
Acquaria lunedì 10 e mercoledì 11 novembre ore 10,30
I Bestiolini martedì 11 novembre ore 10,30
Il cuore di Chisciotte martedì 11 novembre ore 14
Si spegne la luce, la notte è arrivata si può dare inizio alla matta sfilata.
E come immaginerete già, il circo delle nuvole eccolo qua
Il signor Giuliano non è cattivo e nemmeno farabutto ma per essere felice deve comperare tutto.
Quando tutto è già suo, altro non gli rimane che comperarsi il cielo.
E in cielo, sopra le nuvole, ci sta un circo, un circo molto speciale fatto di personaggi bizzarri e poetici, scherzi della natura e creature improbabili.
Adesso Giuliano è diventato il padrone del circo ed è anche l’unico ad assistere dello spettacolo che sta per cominciare sulla pista.
Ma governa qualcosa che è fatto di nuvole, di niente, della materia dei sogni e alla fine si dovrà rassegnare: non tutto si può comperare.
E’ facile sollevare un treno coi vagoni, quindici uomini anche se sono ciccioni, un sacco di patate, una mucca intera, un camion, una moto e una grassa parrucchiera.
Ma prova a sollevare chi solo si sente E vedrai che non è una cosa facile per niente. Ci vuole una forza davvero straordinaria perché chi è a terra si senta per aria. Questo è l’uomo più forte, più forte che ho incontrato ha sollevato me che ero stato abbandonato.
Il teatro disegnato
Per chi disegna lasciarsi influenzare da una musica può risultare un gioco affascinante. Può diventare un tentativo di riprodurre i sentimenti che la musica ispira.
In questi lavori il procedimento vuole essere ancora più suggestivo, è il tentativo concreto di riprodurre in immagini i suoni, di trasformare le note in segni, le pause in vuoti, i suoni gravi in pennellate più dense, gli acuti in graffi. Figure d’ombra e sagome animate vengono a completare l’interpretazione di alcuni brani, caratterizzando in modo più esplicito le atmosfere delle storie.
La divisione degli spazi corrisponde alle diverse lunghezze delle pause, alle cadenze dei segni. E’ la traduzione visiva del brano. Le musiche determinano il flusso, il ritmo, il timbro delle storie, costituite da narrazioni e filastrocche originali.
Guardare la musica, ascoltare le immagini.
I destinatari
La rappresentazione mescola contenuti e linguaggi per bambini e per adulti, permettendo a tutti un approccio semplice ma ricco di suggestioni e spunti di riflessione.
E come immaginerete già, il circo delle nuvole eccolo qua
Il signor Giuliano non è cattivo e nemmeno farabutto ma per essere felice deve comperare tutto.
Quando tutto è già suo, altro non gli rimane che comperarsi il cielo.
E in cielo, sopra le nuvole, ci sta un circo, un circo molto speciale fatto di personaggi bizzarri e poetici, scherzi della natura e creature improbabili.
Adesso Giuliano è diventato il padrone del circo ed è anche l’unico ad assistere dello spettacolo che sta per cominciare sulla pista.
Ma governa qualcosa che è fatto di nuvole, di niente, della materia dei sogni e alla fine si dovrà rassegnare: non tutto si può comperare.
E’ facile sollevare un treno coi vagoni, quindici uomini anche se sono ciccioni, un sacco di patate, una mucca intera, un camion, una moto e una grassa parrucchiera.
Ma prova a sollevare chi solo si sente E vedrai che non è una cosa facile per niente. Ci vuole una forza davvero straordinaria perché chi è a terra si senta per aria. Questo è l’uomo più forte, più forte che ho incontrato ha sollevato me che ero stato abbandonato.
Il teatro disegnato
Per chi disegna lasciarsi influenzare da una musica può risultare un gioco affascinante. Può diventare un tentativo di riprodurre i sentimenti che la musica ispira.
In questi lavori il procedimento vuole essere ancora più suggestivo, è il tentativo concreto di riprodurre in immagini i suoni, di trasformare le note in segni, le pause in vuoti, i suoni gravi in pennellate più dense, gli acuti in graffi. Figure d’ombra e sagome animate vengono a completare l’interpretazione di alcuni brani, caratterizzando in modo più esplicito le atmosfere delle storie.
La divisione degli spazi corrisponde alle diverse lunghezze delle pause, alle cadenze dei segni. E’ la traduzione visiva del brano. Le musiche determinano il flusso, il ritmo, il timbro delle storie, costituite da narrazioni e filastrocche originali.
Guardare la musica, ascoltare le immagini.
I destinatari
La rappresentazione mescola contenuti e linguaggi per bambini e per adulti, permettendo a tutti un approccio semplice ma ricco di suggestioni e spunti di riflessione.
Un'autopresentazione
Non posso dire di essere stato un bambino particolarmente intelligente però una cosa l’ho capita fin da subito e cioè che gli adulti sapevano fare un sacco di cose, male magari, ma le sapevano fare.
Io no: non sapevo stare a tavola, lavarmi, leggere, non sapevo pettinarmi e nemmeno allacciarmi le scarpe ed ero, in sovrappiù, ignorantissimo. Data l’età, ciò era anche logico ma sentivo frustrante il sapere di non sapere niente.
La faccenda, insomma, mi era risultata chiara fin da subito: la lotta era impari, io ero una nullità e la natura non mi aveva nemmeno concesso quelle armi strategiche minime di cui godono perfino gli animali più insulsi, vedi la seppia o il verme di terra.
Occorreva dunque trovare una soluzione, qualcosa che mi potesse proteggere e una zona franca, protetta, l’ho trovata con il disegno. Rompevo un vaso? Facevo alla svelta un disegnetto, copiavo un cavallo dall’enciclopedia, lo coloravo di marrone, e quando arrivava mio padre in collera, coi cocci del vaso in mano, per chiedere spiegazioni, guardava il disegno e mi perdonava. Diceva: “Questo ragazzo è un assassino ma sa disegnare”. Una volta ho acceso un fuoco sul terrazzo: per me era come il bivacco degli indiani, i gerani erano cactus e il mio cavallo era lì accanto; la fiamma però si alzò così tanto da lambire il bucato dell’inquilina del piano di sopra che non tardò a bussare alla porta di casa mia. La sua faccia paonazza era del tutto simile alla gonna bruciata che agitava furiosamente. La sua intenzione era di coprirmi di insulti ma si fermò al primo. Domandò a mia madre: “Ma questo cavallo, l’ha disegnato lui?”. “Sì”, le confermò mia madre e aggiunse scuotendo la testa in tono comprensivo: “Me ne combina di tutti i colori ma è bravo nel disegno”. “È bravo parecchio”, confermò la vicina. “Non è, per caso, che potrebbe disegnarne uno anche per me?”.
In quel periodo disegnavo molti cavalli, molti davvero. Le mie insegnanti di matematica e francese, nelle cui materie non sarei mai arrivato a rimediare un sei, si portavano a casa ritratti di quei quadrupedi in tutte le salse e pose. All’esame di licenza media, gli insegnanti quasi si dimenticarono di interrogarmi: mi facevano i complimenti per la prova di educazione artistica. Il professore di scienze si provò perfino a stabilire la razza degli equini che avevo ritratto: “Sono dei purosangue inglesi, non è vero, Tessaro?”. Annuii anche se non sapevo di che cosa diavolo stesse parlando. So per certo, peraltro, che il titolo del compito era “Case di periferia”.
Oggi sono un adulto e qualcosina, qua e là, l’ho imparata. Disegno ancora cavalli ma non lo faccio più per legittima difesa. Lavoro coi bambini e tento di ricordarmi il disagio che si può provare a quell’età. Tento perciò di misurarmi con loro solo dopo aver piegato le ginocchia per trovarmi così alla pari. Non divento più piccolo per questo: a 60 centimetri da terra si muovono pianeti sconosciuti e inimmaginabili.
Racconto storie con il disegno e so che è un privilegio perché quello di raccontare è il più bel mestiere del mondo.
Non posso dire di essere stato un bambino particolarmente intelligente però una cosa l’ho capita fin da subito e cioè che gli adulti sapevano fare un sacco di cose, male magari, ma le sapevano fare.
Io no: non sapevo stare a tavola, lavarmi, leggere, non sapevo pettinarmi e nemmeno allacciarmi le scarpe ed ero, in sovrappiù, ignorantissimo. Data l’età, ciò era anche logico ma sentivo frustrante il sapere di non sapere niente.
La faccenda, insomma, mi era risultata chiara fin da subito: la lotta era impari, io ero una nullità e la natura non mi aveva nemmeno concesso quelle armi strategiche minime di cui godono perfino gli animali più insulsi, vedi la seppia o il verme di terra.
Occorreva dunque trovare una soluzione, qualcosa che mi potesse proteggere e una zona franca, protetta, l’ho trovata con il disegno. Rompevo un vaso? Facevo alla svelta un disegnetto, copiavo un cavallo dall’enciclopedia, lo coloravo di marrone, e quando arrivava mio padre in collera, coi cocci del vaso in mano, per chiedere spiegazioni, guardava il disegno e mi perdonava. Diceva: “Questo ragazzo è un assassino ma sa disegnare”. Una volta ho acceso un fuoco sul terrazzo: per me era come il bivacco degli indiani, i gerani erano cactus e il mio cavallo era lì accanto; la fiamma però si alzò così tanto da lambire il bucato dell’inquilina del piano di sopra che non tardò a bussare alla porta di casa mia. La sua faccia paonazza era del tutto simile alla gonna bruciata che agitava furiosamente. La sua intenzione era di coprirmi di insulti ma si fermò al primo. Domandò a mia madre: “Ma questo cavallo, l’ha disegnato lui?”. “Sì”, le confermò mia madre e aggiunse scuotendo la testa in tono comprensivo: “Me ne combina di tutti i colori ma è bravo nel disegno”. “È bravo parecchio”, confermò la vicina. “Non è, per caso, che potrebbe disegnarne uno anche per me?”.
In quel periodo disegnavo molti cavalli, molti davvero. Le mie insegnanti di matematica e francese, nelle cui materie non sarei mai arrivato a rimediare un sei, si portavano a casa ritratti di quei quadrupedi in tutte le salse e pose. All’esame di licenza media, gli insegnanti quasi si dimenticarono di interrogarmi: mi facevano i complimenti per la prova di educazione artistica. Il professore di scienze si provò perfino a stabilire la razza degli equini che avevo ritratto: “Sono dei purosangue inglesi, non è vero, Tessaro?”. Annuii anche se non sapevo di che cosa diavolo stesse parlando. So per certo, peraltro, che il titolo del compito era “Case di periferia”.
Oggi sono un adulto e qualcosina, qua e là, l’ho imparata. Disegno ancora cavalli ma non lo faccio più per legittima difesa. Lavoro coi bambini e tento di ricordarmi il disagio che si può provare a quell’età. Tento perciò di misurarmi con loro solo dopo aver piegato le ginocchia per trovarmi così alla pari. Non divento più piccolo per questo: a 60 centimetri da terra si muovono pianeti sconosciuti e inimmaginabili.
Racconto storie con il disegno e so che è un privilegio perché quello di raccontare è il più bel mestiere del mondo.
Gek Tessaro
La tecnica
Gli spettacoli consistono nella narrazione di alcune storie originali dell’autore e illustratore di libri per bambini Gek Tessaro. I racconti si “animano” mediante l’utilizzo della lavagna luminosa. Nella grande magia della suggestione data dal buio, la lavagna luminosa proietta le immagini ingigantendole. Queste, per la maggior parte, vengono realizzate sul momento. Con tecniche diverse: acrilico, collage, acquarello, inchiostri e sabbia, si sviluppano così scenografie bizzarre, divertenti e poetiche. Costruzioni effimere che vivono, crescono e si concludono con la fine del brano.
La lavagna luminosa costringe l’illustratore a disegnare al rovescio, suggerendogli nuovi punti di vista e distorsioni rivelatrici; a volte disegna con entrambe le mani, per creare particolari effetti di simmetria, adottando una tecnica personale e molto efficace.
Ad arricchire ulteriormente la scena contribuiscono le ombre di sagome animate, figurine e personaggi cesellati nel metallo o nel cartoncino, che interagiscono fra loro, con la voce narrante e con la musica.
Il risultato è quello di un gigantesco libro che si anima, si colora, e si racconta.
I brani scelti non appartengono al consueto repertorio per bambini ma a quello della musica del mondo, di paesi e lingue anche sconosciute, ma che riescono a farsi comprendere da tutti, sottolineando e valorizzando l’importanza delle differenze.
Gli spettacoli consistono nella narrazione di alcune storie originali dell’autore e illustratore di libri per bambini Gek Tessaro. I racconti si “animano” mediante l’utilizzo della lavagna luminosa. Nella grande magia della suggestione data dal buio, la lavagna luminosa proietta le immagini ingigantendole. Queste, per la maggior parte, vengono realizzate sul momento. Con tecniche diverse: acrilico, collage, acquarello, inchiostri e sabbia, si sviluppano così scenografie bizzarre, divertenti e poetiche. Costruzioni effimere che vivono, crescono e si concludono con la fine del brano.
La lavagna luminosa costringe l’illustratore a disegnare al rovescio, suggerendogli nuovi punti di vista e distorsioni rivelatrici; a volte disegna con entrambe le mani, per creare particolari effetti di simmetria, adottando una tecnica personale e molto efficace.
Ad arricchire ulteriormente la scena contribuiscono le ombre di sagome animate, figurine e personaggi cesellati nel metallo o nel cartoncino, che interagiscono fra loro, con la voce narrante e con la musica.
Il risultato è quello di un gigantesco libro che si anima, si colora, e si racconta.
I brani scelti non appartengono al consueto repertorio per bambini ma a quello della musica del mondo, di paesi e lingue anche sconosciute, ma che riescono a farsi comprendere da tutti, sottolineando e valorizzando l’importanza delle differenze.