TRITTICO SUGLI STATI
Boucherie per corpi inanimati e corpi danzanti
La contaminazione tra corpo animato e inanimato segna il mio atto poetico. Indagare questa terra di confine mi consente pluralità, simultaneità, l’esplorazione pratica di ciò che nascondiamo agli altri e a noi stessi.
Si crea in questo sistema duale, tra corpo dell’attrice e corpo del fantoccio, una tensione tra le molteplici sfaccettature del cuore, che costringe ad ammettere la nostra frammentarietà e a ripetere continuamente l’esperienza della mancanza, della perdita, della dipendenza, della nostra infinitezza, ovvero non-finiti, incompleti.
La confusione del corpo(corpo del fantoccio, corpo del manipolatore, corpo d’attore) è frutto di un’intrinseca pluralità indivisibile.
Testimonio l’impossibilità di un soggetto unitario e la tensione verso essere altro da me, infinita approssimazione, ininterrotto percorso di avvicinamento a qualcosa d’altro, “mimesis del possibile” per la configurazione di un nuovo corpo perennemente costruibile.
La pelle si crepa e i confini tra il mio corpo e questi oggetti, miei partner di scena, si fanno fluidi. Un nuovo corpo si crea nella relazione: un corpo in continuo spostamento tra l’attrice e l’oggetto. Condivido il mio corpo con l’oggetto-fantoccio. Questo corpo ibrido vive di un continuo movimento di auto-costruzione e distruzione interna, ribadendo il naturale spostamento d’identità dell’essere umano. Si tratta di rivivere in un lasso di tempo piuttosto breve diverse nascite e morti molto ravvicinate.
La mia preoccupazione era di avere a che fare con l’inesistente, fino al momento in cui ho realizzato, invece, di giocare con l’invisibile.
Questi esseri rivelano una vita che fino a quel momento non era manifesta. Punto di passaggio tra il visibile e l’invisibile, esprimono e conservano l’invisibile e ci volgono per un attimo cuore e sguardo verso questa direzione da cui provengono. Rinviano alla dimensione magica di Altrove.
Un doppio tempo: quello presente dell’apparizione e quello eterno dell’archetipo. In questo gioco di mediazione tra il tempo mitico e il tempo storico, sigillo l’unione tra l’anima e la carne.
Cerco con brama un collegamento tra la realtà materiale del corpo e la sua realtà fantastica. In tal senso indago la relazione e commistione tra il teatro di figura e il corpo danzante. Concedo il mio corpo a queste creature che di volta in volta me lo restituiscono intriso di nuova anima, deformato, allungato...
I due codici, quello della danza e quello delle marionette, viaggiano variabilmente sulla stessa strada o su strade parallele, ma sempre, entrambi, lungo le vie che lasciano al corpo lo spazio d’incertezza che gli è proprio ed in questa zona liminale alterano il tempo ordinario.
La condizione di partenza dei fantocci è quella di oggetti inanimati, è questa condizione necessaria, che consente la vita.
Essi contengono la dualità tra vita e morte: sono corpi oltre la vita, già morti o continuamente moribondi. Sono i fantasmi del corpo!
Questi fantocci sono figure evocative, creature leggere, che a volte mi lasciano senza volto, perdo i miei occhi eppure posso vedere molte cose.